Cadono le accuse per le Rsa Chiabrera e D’Azeglio. In Piemonte la pandemia ha fatto…
Morì sotto i ferri, sei rinvii a giudizio
Morì al Sant’Antonio Abate per una serie di concause che dovranno essere acclarate in aula. Ma c’è una certezza: il 6 aprile, il gup Patrizia Nobile ha rinviato a giudizio i sei medici che ebbero in cura Antonio Diciannove.
Tra costoro, anche due camici bianchi già condannati dal tribunale di Busto per il decesso di Ferdinando Paladino, spirato nel 2008 a causa di un antibiotico che non avrebbero dovuto somministrargli.
Cinque anni più tardi – il 12 marzo 2013 – i due medici si ritrovarono nelle stesse condizioni. L’ottantenne fu ricoverato per una nefrectomia, ma qualcosa andò storto e dalla corsia uscì in una bara. In una prima fase di indagine la procura aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo, ma i parenti di Diciannove – assistiti dall’avvocato Giuseppe Zanalda – fecero opposizione e il gip dispose l’imputazione coatta. Secondo quanto ricostruito, l’intervento chirurgico non sarebbe stato eseguito correttamente: l’operazione gli provocò una breccia intestinale, quindi l’interruzione della continuità di un’ansa ileale dalla quale derivò un peritonismo diffuso. Sicché si rese necessario un secondo intervento al quale Diciannove non riuscì a sopravvivere. Tra gli imputati ci sono quindi i due medici che già avevano avuto a che fare con Paladino, il collega che aveva visitato l’ottantenne dopo la prima operazione, il quale a quanto pare non diagnosticò il peritonismo, e i medici di prima e seconda reperibilità che, una volta avuta comunicazione del peggioramento del quadro clinico di Diccianove e scoperto il fatidico peritonismo diffuso, avrebbero ritardato l’esecuzione del reintervento, eseguito un giorno più tardi, ossia il 25 febbraio. Il 12 marzo l’ottantenne chiuse gli occhi per sempre.
Furono la moglie e una delle figlie a sporgere denuncia, sospettando che qualcosa nell’iter ospedaliero non fosse chiaro. La vicenda approderà davanti al giudice monocratico il prossimo autunno.
Sarah Crespi
fonte: La Prealpina